Museo/corpo/riconquista (e una riflessione di Isabella)

Quegli stessi diciottenni che la mattina sbadigliavano e mi guardavano con aria sospettosa, al pomeriggio, portati al Museo del Novecento (su loro graditissima richiesta), non volevano più andare via.

Quegli stessi diciottenni si sono sdraiati sotto al Cirro luminoso di Lucio Fontana, e c’era un silenzio bellissimo.

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Quegli stessi diciottenni si sono disposti davanti alla nostra amatissima opera di Giuseppe Penone e hanno proposto: mettiamoci ciascuno di fronte a una foto, e diciamo quello che ognuno di noi vede. E hanno cominciato: un albero e una macchina; un lampione e una panchina; un palazzo…

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Metto a fuoco tre aspetti, su cui riflettiamo nel gruppo Che cosa vedi?

Il primo è il fatto che il museo è un luogo protetto. E’ un contenitore duttile, amico, in cui, se la proposta è fatta con grazia, ci si può aprire, almeno un po’.

Il secondo è che per vedere ci vuole allenamento. Dunque tempi lunghi, calma, silenzio. Poi si torna a parlare, poi di nuovo si sta in silenzio, in un andirivieni benefico che massaggia le parti giuste del cervello, che insegna a distinguere, che lascia emergere le diversità, che fa crescere il linguaggio.

Il terzo è che, come ha notato Marcello, ci vuole un po’ di sorpresa. Dunque non riveleremo molto del nostro progetto, almeno non qui.

Visto che questo pomeriggio al museo è stato food for thought, abbiamo invitato i dodici ragazzi del progetto Che cosa vedi? a spiegarlo ai diciottenni. E abbiamo discusso, ascoltato i suggerimenti, preso nota.

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Il giorno dopo, Isabella ha scritto questa riflessione:

Che cosa succede quando dei ragazzi si avvicinano all’arte contemporanea e iniziano a confrontarsi con essa? Non può che crearsi un legame, qualcosa di nuovo e inaspettato.

L’arte contemporanea al primo impatto solitamente non viene compresa: presenta tante sfaccettature e talvolta ci si ferma a una prima interpretazione, senza ricercare gli infiniti significati racchiusi al suo interno.

Il nostro progetto si è rivelato fin da subito stimolante ed entusiasmante. Ho sempre amato l’arte, ma le attività che stiamo facendo mi stanno aprendo un mondo (quello dell’arte contemporanea) che fino a poco tempo fa mi era quasi totalmente estraneo. Questo è paradossale, perché teoricamente il contemporaneo dovrebbe essere più vicino a noi: però, confrontandomi con varie persone, mi sono resa conto che molti non la comprendono (o forse che non hanno mai avuto l’occasione giusta per farlo).

Ecco. Noi stiamo avendo quest’occasione, e ne siamo davvero contenti. È facilmente percepibile questo nostro entusiasmo, lo si vede durante gli incontri e nel momento in cui dobbiamo presentare la nostra attività ad altre persone, come abbiamo fatto oggi di fronte a una classe del nostro liceo. L’incontro di oggi è stato il primo vero confronto con persone che non facevano parte del nostro progetto e che ora ne sono diventate parte integrante: ci siamo scambiati opinioni, e grazie a loro abbiamo avuto conferma dell’importanza di proporre delle attività da fare davanti alle opere, attività volte ad ampliare i propri orizzonti e a scoprire aspetti della realtà mai considerati prima.

Vorremmo che molti altri potessero in futuro vivere e sentire in sé la magia dell’avventurarsi nelle strade di quest’arte. Un’arte colma di messaggi forti, di emozioni nascoste.

La nostra rivoluzione (Edoardo)

“The future belongs to those who believe in the beauty of their dreams” (Eleanor Roosvelt)

 

Quando abbiamo cominciato questo progetto non sapevo dove mi avrebbe portato, quali difficoltà mi si sarebbero presentate. Ho solo colto un’opportunità, e l’ho presa sul serio.

Siamo un gruppo meraviglioso, pieno di iniziative, guidati da un’insegnante appassionata e competente: siamo consapevoli del nostro scopo, del nostro progetto, ossia quello di studiare un percorso innovativo che possa coinvolgere i giovani e li possa far appassionare all’arte contemporanea.

Siamo audaci, e lo dico con orgoglio: non molti scommetterebbero come abbiamo fatto noi su un’idea così ambiziosa.

Continuiamo a lavorare, teniamo duro: è un mondo strano, il nostro, un mondo che ha paura, ma ricordiamoci sempre che noi stiamo costruendo il nostro futuro, che ogni progetto che pensiamo, ogni idea che realizziamo, è un mattone in più nella grande casa del nostro mondo.

Sembra un forzatura moralistica pensare che con un progetto piccolo come il nostro in realtà stiamo facendo qualcosa di grande, di meraviglioso, eppure è così: scommettendo sull’arte contemporanea, un linguaggio spontaneo e aperto, stiamo scommettendo su noi stessi.