Per continuare a crescere

Dopo aver moderato la discussione in occasione della presentazione del volume Che cosa vedi? Musei e pubblico adolescente al Museo del Novecento di Milano, Maria Elena Colombo ci regala alcune riflessioni sul libro, e più in generale sul tema dell’educazione al/col museo.

Che cosa vedi? è una raccolta di contributi che raccontano esperienze di contatto fra musei e adolescenti; sono contributi “organicamente” omologhi. Ne ripercorro gli scritti per suggestioni, parole e concetti ricorrenti.

Il primo trait-d’union è con larghissima evidenza la scuola: come sottolinea anche Franca Zuccoli il contatto con gli adolescenti da parte dei musei avviene quasi esclusivamente attraverso le scuole; viene da domandarsi se, forse, anche la relazione della scuola con gli adolescenti non abbia preso forma e sostanza attraverso l’esperienza nei musei. Rilevo con grande senso di stima per tutti i coinvolti che la scuola che qui viene citata (da Cimoli a Pascotto a Bertini) è una scuola piena di energie, capace di mettersi in discussione, di rivedersi, di aggiustare il tiro; una scuola sana e vitale, che non ha paura di entrare in contatto e ibridarsi; nelle esperienze riportate la scuola è un attore capace di dialogo e di negoziazione.

La mia storia professionale mi ha fatto rilevare con vera ammirazione la capacità di condurre queste operazioni “delicatissime”, come dice la curatrice, pur con grande discrezione: in un museo è necessario capire come muoversi, in quali confini, entro quali margini di autonomia. Leggendo i contributi di Anna Cimoli e Maria Elena Santomauro non posso non esprimere un elogio della misura e dell’apertura dei coinvolti. Di recente mi è capitato di sentire da James Bradburne una metafora che trovo molto adatta a descrivere tale sapienza di gestione: condurre un cambiamento, diceva il direttore della Pinacoteca di Brera, introdurre un elemento sperimentale è come lavorare all’allungamento di un muscolo nello stretching; è necessario forzare per ottenere un risultato, ma sempre con grande senso di misura; una volta che la si sia superata inavvedutamente il danno è molto difficile da riparare, quand’anche lo sia, e la guarigione richiede molto tempo. Parlo dell’esperienza di Anna Cimoli e del Museo del Novecento tutto, ma so che la medesima considerazione resta valida anche per le esperienze che vedano coinvolto il solo personale interno ai musei (come nel caso del Museo MA*GA, o di Palazzo Grassi). Quindi a tutti il mio plauso. Mi pare che l’insegnamento ai ragazzi, che viene riferito dalla curatrice come “rafforzare la valorizzazione della presenza del corpo in ascolto del proprio e nel rispetto di quello dell’altro” sia felicemente adatta, in metafora, anche all’esperienza di chi è stato professionalmente coinvolto. E sì, di questi tempi, è tantissimo.

Le parole guida del testo della curatrice sono binari che attraversano gli altri contributi del volume: domande, ascolto, coprogettazione. Un’alchimia facilitata, uno sbilanciamento in sicurezza, una negoziazione continua ove il ruolo del professionista richiede -ancora, sì- capacità di misura: il gioco è importante, bisogna dare fiducia, proteggere, senza invadere lo spazio non solo fisico dell’adolescente; è il ruolo del mentore, nel senso più attuale.

Metadomanda: altro tema trasversale è il mandato (pare condiviso) di quella domanda “che cosa vedi?”, che diventa, in tutti i contesti, per gli adolescenti (ma naturalmente non solo) una sollecitazione a guardarsi attraverso, grazie all’incontro con l’opera; una domanda che interroga su  se stessi in rapporto all’opera e, profondamente, mette in relazione con un altro umano che tramite quell’opera si è espresso. Come scrive Stefano Laffi, si tratta di sviluppare la capacità di guardare alla materia e leggerla vitale, testimonianza del destino dell’umano e dell’umanità. Non ho potuto fare a meno di sentire l’eco della voce di Ettore Guatelli, con il suo adorabile accento emiliano, sottolineare alcuni passaggi chiave: “questa è la camera della grafica, delle insegne, del piacere di guardare; cosa devo dire davanti qui […] da una deriva l’altra, le vedevi belle, c’erano altre vicende da testimoniare…vorrei che chi venisse qui potesse trarre dei suggerimenti”, davanti alla stanza piena di scatole di latta decorate, accompagnando per il suo museo “dall’estremo ieri, all’estremo domani”.

Mi ha colpito molto un parallelismo fra alcuni elementi espressi dalla curatrice e altri espressi da Alessio Bertini, per Fondazione Palazzo Strozzi. L’educazione informale al Museo del Novecento, ci dice la Cimoli, avviene in un’atmosfera che vede un tempo dilatato, senza campanelle e in un “setting” diverso rispetto alla scuola; è stata la prima volta nel volume che ho pensato che oltre a ciò, vi si manifestava la gratuità dell’esperienza, non misurata, non valutata, un po’ “oltre confine”, anche come regole, non solo come setting. Ecco, un rimando simile mi è sorto spontaneamente relativamente all’esperienza di ragazzi provenienti da scuole che non incontrano nel proprio programma la storia dell’arte, che Bertini ci dice in qualche modo più immediatamente avvicinabili all’arte contemporanea perché privi delle categorie e delle tassonomie di chi studia Michelangelo o Raffaello. Il dubbio che non mi lascia è che, invece, il vettore dell’immediatezza stia proprio nell’assenza di misurabilità di quell’esperienza, che si libera più potente. Mi è tornato alla mente l’adolescente disegnato da Pennac, gobbo e bloccato sulla pagina 48 di Madame Bovary, obbligo scolastico. Insomma, forse, per qualche verso, pure l’arte, come la lettura, non regge l’imperativo – avversione che condivide con il verbo “amare” e “sognare” – o ne patisce il peso. Del resto il parallelo fra arte (visiva) e letteratura traversa il volume e i contributi fin dall’introduzione di Raimo.

Bertini sottolinea come poi, alle soglie del contemporaneo – in realtà poi contemporaneo per chi scrive, del secolo precedente per gli adolescenti di oggi, a proposito di punti di vista – non si giunga che di rado a lavorare in classe. Per usare un’espressione usata da Federica Pascotto nel volume, si tratta davvero di un “fragoroso silenzio”, formativo per due ragioni: una, rilevata dalla Pascotto, è che parliamo di adolescenti, e quindi di coloro che vivono immersi nell’oggi, in maniera totalizzante; la seconda è che la scuola, e i programmi, finiscono per arrendersi proprio laddove la questione si fa davvero più complessa. Per comprendere un “ready made” non si può far ricorso alle categorie della bellezza, ma è necessario interrogarsi sul suo senso, sul senso dell’istituzione che la espone e sul proprio come spettatori e non solo.

Ho trovato davvero interessante l’esperienza condotta da Stefano Laffi, che ha sollecitato a un recupero del valore delle proprie storie alcuni adolescenti facendo loro riconoscere, selezionare, allestire e presentare oggetti rappresentativi della propria storia: un’operazione di grande portata terapeutica, che ricorda da vicino le proposte della Gestalt raccontate appunto nel volume Ogni vita merita un romanzo di Erving Polster. Il saggio ha più di un’aderenza con Che cosa vedi?: “Qualunque sia la fase che attraversiamo, ci troviamo immancabilmente di fronte a sconcertanti contraddizioni tra i nostri bisogni e le esigenze degli altri, che magari hanno usanze curiose, spesso refrattarie a qualsiasi cambiamento” (p. 15).

Contemporaneo è l’altro evidente trait-d’union; ha dalla sua alcuni assi difficilmente eguagliabili anche dal punto di vista maieutico: la testimonianza di un artista, della sua stessa vita, è certamente una delle lezioni più potenti per imparare a rispondere alle domande che un adolescente si può fare, e si deve fare, sul proprio destino e sulla propria destinazione; la domanda “ce la farò?”  prende la forma di fatica, attesa, sospensione, convinzione. L’esperienza degli studenti gallaratesi costretti a mediare con i passanti per il loro intervento su suolo pubblico, raccontata da Lorena Giuranna, è davvero esemplare.

In ultimo, il richiamo alla meraviglia e una testimonianza (mia, stavolta): Federica Pascotto riferisce del sicuro fascino del “dietro le quinte” di  un museo; tale racconto, fatto per immagini che regalano immediato accesso e familiarità con una istituzione riscontra grande successo, non a torto, anche sui profili social dei musei.

Chiudo (ancora, ma potrebbe essere altrimenti?) con una domanda che aleggia: Palazzo Grassi e Strozzi sono spazi espositivi, non musei, ma stanno tracciando grandi segni… Sono più agilmente laboratori per nuove idee? Lo sono perché si occupano di contemporaneo? (si veda Detto tra noi per Palazzo Grassi, il lavoro sulle didascalie di James Bradburne a Firenze, e l’esperienza itinerante per le scuole della Fondazione Palazzo Strozzi).

Sperimentando

Qualche giorno fa, con i ragazzi di quinta liceo linguistico, siamo andati in museo a testare il kit. Che funziona, che suggerisce, e che offre anche più spunti di quelli che noi progettisti avevamo progettato (bene così).

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In sala Fontana, il nostro punto di osservazione privilegiato sulla città, c’è adesso l’installazione di Paola Di Bello, che ‘vela’ alcune vetrate, suggerendo altri livelli di lettura dello spazio urbano. Nel testo di accompagnamento si leggono delle parole che rimano meravigliosamente con la nostra idea di museo, con il nostro lavoro per Che cosa vedi?: fra il Duomo e la Torre Velasca, interrogativo verso la città, estroverso e introverso insieme.

Con quest’opera Di Bello interpreta e rilancia il Museo del Novecento come centro, come luogo dell’interazione, come snodo che collega: non un presidio che “tiene fuori”, ma un occhio che guarda alla città, ai suoi abitanti, alla vita che scorre; ricambiato da coloro che, dalla piazza, vorranno spingere lo sguardo verso l’interno, con le collezioni, le mostre  e il pubblico. Il museo si fa dispositivo per una visione a doppio senso.

Durante il pomeriggio è stata con noi la fotografa Elisabetta Brian. Sue sono le bellissime foto che pubblichiamo qui.

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Siete pronti?

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Mondi professionali e sguardi diversi. Pratiche, esperienze, racconti di prima mano.

Musei / adolescenti / peer education è una tavola rotonda che vuole porre delle domande, più che fornire delle risposte, incrociando sguardi diversi, dentro e fuori dalle istituzioni.

Come si cresce al museo? Quali domande suscita l’arte contemporanea, con che ricadute? Quali strumenti per la mediazione? Come contaminare il codice dell’apprendimento formale con pratiche informali tutte da ridefinire, perché siano a loro volta contemporanee?

La tavola rotonda, curata da Anna Chiara Cimoli, nasce dagli stimoli raccolti nell’ambito di Che cosa vedi?, un progetto realizzato dal Liceo Crespi di Busto Arsizio presso il Museo del Novecento di Milano (selezionato nell’ambito del concorso nazionale MIUR “Progetti didattici nei musei, nei siti di interesse archeologico, storico e culturale o nelle istituzioni culturali e scientifiche”).

Ne è nato un percorso in alternanza scuola-lavoro con 11 ragazzi del liceo classico e linguistico. Il frutto del progetto, che si concluderà a giugno, sarà un kit di mediazione fra pari in diverse lingue, fondato soprattutto sul disegno e sulla conversazione, co-progettato dagli studenti con Anna Chiara Cimoli.

Il kit, progettato dalla designer Benedetta De Bartolomeis, sarà uno strumento attraverso cui i ragazzi potranno interpellare opere dagli anni Cinquanta agli anni Settanta (Fontana, Scialoja, Fabro, Merz e Penone). Si tratta di una mediazione leggera, che sceglie di rinunciare alla tecnologia per favorire l’incontro personale intorno a opere contemporanee. Si toccano i temi dell’equilibrio, della norma, della negoziazione, dell’impronta nella società, e molti altri.

Alla tavola rotonda, che vuole riflettere sull’educazione fra pari e sulla disponibilità dei musei a sostenerla, parteciperanno alcune fra le realtà museali italiane più vivaci nell’ambito della mediazione del contemporaneo, ma anche professionisti di vari ambiti (l’università, la ricerca sociologica, l’accessibilità), per cercare di costruire insieme un racconto necessariamente sfaccettato, articolato, aperto.
Cambiano i musei, perché non dovremmo cambiare anche noi?

 

 

INFO: annachiara.cimoli@gmail.com

La tavola rotonda è finanziata nell’ambito del bando MIUR “Progetti didattici nei musei, nei siti di interesse archeologico, storico e culturale o nelle istituzioni culturali e scientifiche”.